Corriere della Sera, 21 Ottobre 2024
Gli ultimi raschiatori lodigiani di Grana: «Saperlo fare è un’arte ma siamo in via di estinzione»
La «raspadüra» lodigiana : «Una tecnica che si tramandava nelle piccole salumerie della nostra provincia, ora manca il ricambio generazionale»
La preparazione della raspadüra, una sfoglia finissima di Tipico lodigiano, è un’arte che incarna l’essenza della provincia di Lodi. Con movimenti decisi ma calibrati, i maestri raschiatori riescono a creare veli sottilissimi, quasi trasparenti, lasciando un piccolo bordo di crosta, a testimonianza della loro abilità. Questa tradizione, tramandata per generazioni nelle salumerie locali, trasforma un gesto semplice in un rituale. La raspadüra è la storia stessa di questa terra e dei suoi abitanti, un cibo povero (si utilizzavano le forme ritenute difettose), diventato poi prodotto gourmet, che non manca mai sulle tavole lodigiane. In passato si acquistava nelle piazze, durante i mercati, o nelle piccole botteghe, quasi sempre a gestione familiare, ormai quasi del tutto scomparse. Oggi, sopravvive solo grazie all’impegno di alcuni caseifici locali che la portano nei supermercati, rendendo accessibile a tutti questo tesoro gastronomico che usa come punto di partenza un formaggio prodotto solo con il latte del territorio, capostipite di tutti i Grana, rigorosamente giovane e stagionato per non più di sei mesi. «Saper raschiare una forma è un’arte — racconta Pietro Parenti, 76 anni, titolare fino a qualche anno fa di una gastronomia a Casalpusterlengo —. Saperlo fare nella maniera corretta poi, lasciando quindi un pezzettino di crosta e rendendo la sfoglia veramente sottile, quasi trasparente, è un’attività degna di un artigiano. Qualcosa che oggi sta scomparendo perché è una tecnica che si è sempre tramandata nelle piccole salumerie e che non si insegna negli istituti. È un peccato».
Tra i pochi maestri raschiatori rimasti, spicca Stefano Grioni, 28 anni, giovane talento del caseificio Zucchelli di Orio Litta, due volte premiato per la sua maestria durante la rassegna gastronomica di Lodi «Le forme del gusto». «È un’arte che ho scoperto per curiosità — racconta Grioni — e che, grazie all’insegnamento di alcuni colleghi esperti, ho fatto mia. Preparare la raspadüra nel modo tradizionale, con ogni singola sfoglia perfetta e utilizzando come base un formaggio fatto con latte locale, è qualcosa di fantastico. Un prodotto che rappresenta il mio territorio e che mi rende veramente orgoglioso».
E mentre il tempo scorre, la raspadüra continua a incarnare un legame intimo con il territorio, una tradizione che resiste anche di fronte alla modernità. Oggi, però, sono sempre meno i raschiatori che continuano a esercitare l’attività nei caseifici e nei ristoranti. «Non c’è dubbio che il numero di persone in grado di saper preparare la vera raspadüra, rispettando tutte le regole, si è ormai ridotto in tutta la provincia — dice Angelo Frosio, maestro d’arte ed esperto tecnico caseario —. Fino a qualche anno fa, ogni salumeria o negozio di vicinato aveva una forma pronta per essere raschiata. Era una cosa normale per un lodigiano avere a pranzo o a cena un po’ di raspadüra da accompagnare ai risotti o da mangiare da sola. Qualche anno fa, con la scuola Bergognone che dirigo, abbiamo realizzato un corso per insegnare ai ragazzi come raschiare una forma nella maniera corretta. Ma non può bastare. La concorrenza all’estero è fortissima: ci sono realtà che da tempo realizzano un prodotto molto simile alla raspadüra lodigiana, o quasi, utilizzando dei macchinari per realizzare la stessa sfoglia». Il problema più grande, almeno negli ultimi anni, è proprio il ricambio generazionale. «Purtroppo vedo sempre meno giovani avvicinarsi a questa pratica — conclude Grioni —. Non esistono scuole che insegnano come riuscire a raschiare nel modo corretto. Ed è un vero peccato. Servirebbero più forze fresche per non perdere questa tradizione».
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